Dopo che Hitler nel maggio del 1938 restituì la visita venendo in Italia, Mussolini, annunciò l’introduzione in Italia di una legislazione razziale. E' vero che egli aveva più volte alluso a una presunta purezza della razza italiana, e alla volontà di difenderla; ed è vero che negli anni precedenti vi erano sempre stati filoni di razzismo e di antisemitismo fascisti.
La sua iniziativa fù autonomo desiderio di stringere di più l’alleanza con la Germania, anche e soprattutto a uno dei miti tipici del Duce, la convinzione che si dovesse rendere il popolo italiano, anche sul piano interno, duro e bellicoso.
Nel luglio 1938 il Duce emanò la "Carta della Razza", in cui si affermava che arabi, etiopici ed ebrei costituivano razze inferiori a quella "ariana", cui appartenevano gli italiani, che da allora in avanti dovevano proclamarsi "francamente razzisti". La campagna razziale, dal punto di vista legislativo ebbe inizio nell’autunno del 1938, privò gli ebrei dei loro diritti civili e incontrò riserve da parte del Vaticano, che però ufficialmente furono limitate al vulnus inferto ai Patti Lateranensi in quanto proibivano i matrimoni tra cattolici ed ebrei, anche se questi ultimi convertiti al cattolicesimo. Comunque, l’opposizione della Santa Sede, per quanto circoscritta alla questione dei matrimoni, irritò Mussolini. La "bonifica" antisemita si estese alle biblioteche e ai libri. Da notare che per quanto riguarda la cultura e la scuola il "mite" Bottai fu il più duro e intransigente in senso antisemita, influenzando lo stesso Mussolini, il quale però, prima della riunione del Gran Consiglio del 6 ottobre 1938, dedicata alla questione ebraica, aveva detto a Ciano: "Anche se stasera sarò conciliativo, sarò durissimo nella preparazione delle leggi".
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