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I Documenti

Tre grandi fascisti siciliani - Parte 1°

Alfredo Cucco
Un Nazional Fascista Eretico

In un libro edito, alla fine degli anni Ottanta, dell’Istituto Siciliano di Studi Politici ed Economici di Palermo, si descriveva Alfredo Cucco come “il personaggio più espressivo del nazional fascismo siciliano, in grado di assicurare un notevole carisma personale, una lucida strategia politica ed un impegno attivistico eccezionale, non solo per la conquista delle istituzioni politiche locali, ma anche per un profondo radicamento del fascismo nella coscienza popolare siciliana”. Questo personaggio, nato a Castelbuono (Pa) il 26 gennaio 1893 e scomparso a Palermo il 21 gennaio 1968, è uno dei tanti caduti immeritatamente nell’oblio, nonostante la sua meritoria attività in campo medico e scientifico, cosa che gli ha permesso l’intitolazione di una piazza a Palermo e quindi è giusto ricordarlo. Proveniente da una famiglia di tradizioni risorgimentali, cresce imbevuto di quei valori e nell’adolescenza rimane fortemente influenzato dalla presenza e dalle parole degli altri protagonisti del risorgimento, sopravissuti nella sua Castelbuono Francesco porcello, uno degli insorti del 1848 assieme alla Musa, il garibaldino Giuseppe Devante, il “picciotto” Domenico Atanasio che fu nel campo Gibilrossa, sorta di quartiere generale degli insorti siciliani nel 1860.
Queste esperienze e queste eredità marcheranno per sempre Alfredo Cucco e si rifletteranno nella sua opera successiva, nella pubblicazione del “Libro d’oro dei caduti di Castelbuono” (1921), nel dramma “Camice Rossa” (1923) e nella prefazione al libro “Poesie patriottiche”, del poeta risorgimentale castelbuonese Francesco Guerrieri Failla, mentre il 24 aprile 1960 ricorderà in un’occasione ufficiale l’insurrezione della sua cittadina nel centenario. Egli sempre volle rilevare, di contro a certa storiografia settentrionale che tendeva a minimizzarlo, l’importanza dell’apporto fornito dalla Sicilia all’unità nazionale; nel dopoguerra, rilevare ciò era anche una netta professione d’antiseparatismo.
Nel 1916 si laurea in medicina a Palermo; da studente si segnala per la sua attività nel movimento nazionalista e collabora con sapidi articoli al giornale “L’Ora” e al mensile “Sicilia giovane”. Dopo la laurea si trasferisce a Roma, dove, la guida dell’illustre oftalmologo Giuseppe Cirincione, inizia gli studi e le ricerche nel campo dell’oculistica, ramo della medicina in cui diventerà celebre con decine di pubblicazioni. I suoi studi più famosi, raccolti in un libro che avrà diverse edizioni sia prima sia dopo la guerra, sono sull’anplexus interruptus ed i suoi riflessi fisici e psichici. Nel 1017 è richiamato alle armi quale ufficiale medico ed esplicherà la sua opera sul fronte di Grappa.
Dopo la guerra torna a Palermo, dove diventa uno dei massimi dirigenti del movimento nazionalista siciliano, cui darà anche un organo di stampa, “La Fiamma Nazionale”, che nel 1923 muterà il titolo in “La Fiamma” e durerà fino al 1927. Notevoli: in quel periodo, i suoi articoli contro la mafia (“maffia”, si scriveva allora), antica piaga della Sicilia che si era insidiata nella veccia politica e che le forze nuove, nazionalisti e fascisti, combattevano aspramente. Con questi articoli si creerà numerosi nemici e tante antipatie paradossalmente, quando il regime fascista sferrerà un colpo mortale all’Idra mafiosa grazie all’opera del benemerito prefetto Cesare Lori, Alfredo Cucco sarà accusato di collusioni con la mafia e subirà diversi processi, sarà espulso dal PNF e dovrà abbandonare per circa 13 anni ogni attività politica, dedicandosi esclusivamente alla propria professione di medico. Da tutti i precedenti, in ogni modo, uscirà pienamente assolto ed una sentenza gli darà giustizia, facendo intendere che le accuse a suo carico erano sorte di calunnie maturate negli ambienti degli avversari politici, delle antipatie che si erano creato nel corso della sua attività pubblicistica. Questa vicenda d’Alfredo Cucco offre il destro di una divagazione che spero sia ben compresa dai nostri lettori. Io sono sempre stato, per mia natura, garantista ed il grantismo non deve essere a senso unico ma applicarsi a tutti indistintamente anche a coloro che ci sono antipatici. Ogni imputato è innocente fino alla condanna definitiva, senza contare che gli errori giudiziari sono sempre possibili, anche con il migliore degli ordinamenti giudiziari.
Io mi sono sempre trovato in netto contrasto con certe posizioni giuridiche di retroguardia, indegne di concittadini di Cesare Beccarla, tenute da certa destra italiana negli ultimi decenni, quella destra che invocava la pena di morte quando c’era una classe di magistrati “rossi” che bene l’avrebbe applicata… ma contro di noi. Sarà perché a causa delle calunnie di un lurido cialtrone mi sono trovato, accanto ai dirigenti della federazione missina di Bolzano e ad altri ufficiali della polizia e delle forze armate, indagato per “costituzione di banda armata a scopo di terrorismo”, sarà perché ho conosciuto diverse persone che si sono fati mesi di carcere per poi essere prosciolte per “insufficienza d’indizi” – d’indizi, non di prove – sarà perché mi è rimasta impressa una frase letta, da bambino, nell’ingiustamente bistrattato “Cuore di Edmondo De Amicis “… quando passa un uomo legato, tra due guardie, non aggiungere la tua alla curiosità crudele della folla: egli può essere un innocente …”, non me la sono mai sentita di unirmi al coro d’osanna alle manette ed al boia. Certa Destra becera indulge, ed indulgeva, un po’ troppo. Così anche dopo la sacrosanta tempesta di “mani pulite, che ha permesso di mettere in ginocchio alcuni pericolosi figuri della Prima Repubblica, non me la sento di intonare un peana di tutti i magistrati indistintamente: in troppe Toghe e sulla faccia di troppi procuratori della Repubblica vedo, non la voglia di riferirsi ad un superiore ideale di giustizia, ma una certa compiacenza, volontaria o involontaria non importa, verso forze politiche che della Prima Repubblica hanno goduto tutti i privilegi e nel cui letame hanno sguazzato e che, per essere appena lambite dallo scandalo, c’è voluta una coraggiosa inchiesta del berlusconiano /feltriano “Giornale”. Termina questa divagazione che spero non sia fraintesa, torniamo ad Alfredo Cucco.
Dopo la fusione del nazionalismo con il fascismo, che lo vede entusiasta protagonista, nel 1924è eletto deputato alla Camera e l’anno successivo, nelle lezioni amministrative di Palermo, riuscirà a battere la lista di Vittorio Emanuele Orlando, sostenuto dalla mafia e dalle forze dell’antifascismo. Proprio in quell’occasione fonda il quotidiano “Sicilia Nuova”, per colmare il vuoto fascista nel settore dell’informazione. Il giornale sospende le pubblicazioni nel gennaio 1927, quando Alfredo Cucco diventa oggetto delle persecuzioni cui ho fatto prima riferimento. Nel 1940, completamente riabilitato, tornerà a far parte del Partito Nazionale Fascista. E’ probabile che, all’origine delle persecuzioni, ci fossero non solo antipatie che si era conquistato, scrivendo e parlando, ma, anche una sorte di Gleicischaltung che, il fascismo regime, intendeva applicare nei confronti degli esponenti più liberi e ribelli del cosiddetto “fascismo movimento”, personaggi che si sarebbero potuti rivelare notevolmente scomodi per il regime totalitario”. Quello dell’esilio politico è il periodo più fecondo della sua attività di scienziato, e le sue pubblicazioni migliori usciranno proprio in quegli anni. Nell’aprile del 1943, in piena guerra, è nominato vice segretario nazionale del PNF il regime è ormai in crisi e gli insuccessi bellici hanno prodotto uno scollamento tra popolo, partito, forze armate e monarchia. Egli cerca di aprire gli occhi alle massime autorità del regime, ha capito che la mafia sta riprendendo vigore, ha intuito il tradimento che serpeggia nelle Forze Armate, ma Mussolini è travolto dagli eventi. Le drammatiche vicende dell’8 settembre lo colgono a Roma, lontano dalla sua amata Sicilia ormai invasa.Aderisce alla RSI, dove assume vari incarichi, quale quello di Commissario del Comitato nazionale per la Sicilia, che assicura l’assistenza ai profughi siciliani sul continente, quello di presidente dell’Ente per l’assistenza ai profughi delle terre invase, di presidente dell’Istituto Nazionale Fascista di Cultura e di sottosegretario al ministero per la Cultura Popolare.
Caduta la RSI è costretto a diciotto mesi di latitanza per salvarsi dalle persecuzioni antifasciste. Tornato in Sicilia, assume l’incarico di professore di demografia all’Università di Palermo – i suoi studi sull’argomento sono compendiati nel volume “Uomini e popoli”. Aderisce al neonato MSI nel 1948 e sarà eletto per ben tre volte deputato dal 1953 in poi. Nel 1949 fonda il settimanale “I Vespri d’Italia”, che uscirà fino al 1963, e nel 1950 usciranno presso Cappelli le sue memorie del periodo di guerra “Non volevano perdere”. In parlamento si occupa di tanti problemi, soprattutto sanitari: combatté per l’istituzione del ministero della Sanità; si esprime contro la nefasta legge Merlin che, impedendo il controllo sulla prostituzione, porterà all’aumento esponenziale delle malattie veneree; si impegna nella lotta contro il fumo e riesce a far sì che sia conferita la Medaglia d’Oro al Valor Militare alla città di Palermo, sia per i suoi meriti risorgimentali che per criminali bombardamenti alleati che dovette subire durante la guerra. L’ultimo suo intervento in Parlamento contro la mafia, il I luglio 1963. Alla fine dell’estate, colpito da gravissima malattia, dovrà abbandonare la vita politica, finche non morirà quasi cinque anni dopo. Alla notizia della sua scomparsa, il comune natale di Castelbuono dichiarerà il lutto cittadino.

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