Lo si può rimpiangere o detestare, Benito Mussolini, duce del fascismo, per vent’ anni
signore dell’ Italia, disprezzato o corteggiato dalle grandi potenze di allora. Lo si può
esaltare al rango di sommo politico e statista o ridimensionare a cialtronesco
illusionista tragicamente smascherato dalle vicende storiche. Ma non lo si può ignorare
né dimenticare perché, nel bene e nel male, egli è sicuramente stato un protagonista
del nostro tempo, con tutte le ombre, le luci e le contraddizioni che segnano
l’esistenza dei personaggi destinati a lasciare un del loro passaggio nel mondo. Può
essere singolare che un ribelle nichilista quale fu il giovane Mussolini, cresciuto
nell’avversione all’ordine costituito, diventi poi, passando per l’esperienza socialista e
la marcia fascista, il dittatore nazionalista e conservatore che rimbalza davanti ai
nostri occhi dalle pagine della cronaca e dai documenti della storia. Ma non così tanto.
Lui stesso, del resto, dirà al giornalista tedesco Emil Ludwig, che lo intervistò per
tredici ore: «Ogni rivoluzionario, a un certo momento, diventa conservatore». In
effetti, basta il contatto con la ricca Milano capitalistica, l’allargarsi delle conoscenze e
il dissiparsi di tante nebbie populiste che lo avvolgevano, una visione più concreta
delle opportunità di emergere, per fargli cambiare parere. L’anarco-socialista libertario
che era finito in galera per avere sobillato contro la guerra i soldati in partenza per la
Libia al volgere del primo decennio di questo secolo, diventa di lì a pochi anni il
patriota delle radiose giornate di maggio, l’interventista che esorta a combattere per
la patria; e poi, a guerra finita, l’alfiere delle frustrazioni degli ex combattenti e delle
paure dei latifondisti agrari e dei “padroni delle ferriere”, il fondatore e capo dei fasci
di combattimento che si ergono a baluardo contro la minaccia bolscevica. Comunque
sia, il giudizio sul Mussolini statista è ormai abbastanza unanime e consolidato.
Abilissimo in politica interna: buon conoscitore dell’indole e degli umori degli italiani,
geniale e tempestivo interprete del momento, con un paese non più in grado di
sopportare scioperi, disordine, caos, dissoluzione e con una borghesia avvilita, ma al
tempo stesso decisa a non accettare la perdita di un faticato decoro, di una dignitosa
supremazia basata sul contributo di sangue versato al fronte per difendere i sacri
confini patrii. Di più, un personaggio in possesso di tutto quanto poteva allora piacere
agli italiani: la maniera forte, la voce stentorea, un’oratoria aggressiva e trascinante,
un nuovo modo di fare politica se paragonato alla fatiscenza della democrazia
parlamentare degli anni venti. Persino la fama di gran seduttore, molto apprezzata, e
una straordinaria capacità di servirsi dei mezzi di informazione e di comunicazione di
massa, un precursore in questo campo: giornalista di spiccato intuito e mestiere,
inventore di riti e coreografie, primo a intuire l’enorme potenziale della radio, maestro
della propaganda a tutto campo.
|